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Nei call center prestazioni pagate in base al contratto

Il ministero del Lavoro cerca di chiarire le complicate regole approvate la scorsa estate per gestire il lavoro a progetto all’interno dei call center, con una lunga circolare esplicativa (n. 14/2013).

L’articolo 24 bis della legge 134/2012 ha sancito l’inapplicabilità, per gli operatori dei call center che svolgono attività in regime del cosiddetto out-bound, delle norme sul lavoro a progetto; questo principio, apparentemente semplice, è stato declinato con regole di difficile lettura, e su queste si concentra la circolare.  Il primo punto che viene affrontato riguarda la definizione delle attività «realizzate attraverso call center out-bound»: la legge, infatti, si riferisce a questa fattispecie, ma non la riempie di contenuti. Il ministero del Lavoro prova a colmare questa lacuna facendo riferimento a una sua precedente circolare (la n. 17/2006), con la quale le attività out-bound sono state descritte come servizi caratterizzati da un ruolo attivo dell’operatore, che ha la possibilità di decidere autonomamente quando contattare una certa platea di utenti.  La circolare affronta anche un altro aspetto critico della legge, cioè l’effettiva estensione della deroga introdotta per il settore dei call center. La norma sancisce l’inapplicabilità della disciplina del lavoro a progetto, senza chiarire se l’esenzione è integrale o parziale: secondo il ministero, la deroga si estende solo all’obbligo di redigere un progetto, mentre non riguarda le altre regole tipiche del lavoro coordinato (quali ad esempio quelle in tema di malattia, gravidanza, obbligo di riservatezza, estinzione del contratto, preavviso, conversione del rapporto in caso di assenza di autonomia eccetera).  La circolare esamina anche il punto maggiormente critico della nuova disciplina: la norma che subordina la possibilità di non redigere il progetto al pagamento di un corrispettivo non inferiore a quello definito dalla contrattazione collettiva.

Questa condizione è particolarmente problematica, in quanto – letta in senso stretto – sembrerebbe precludere la possibilità di fruire dell’esenzione, fino a quando non viene definito, mediante un contratto collettivo apposito, il compenso spettabile ai collaboratori che operano nei call center in regime di out-bound. Per evitare di giungere a conseguenze così drastiche, il ministero suggerisce una lettura diversa, spiegando che in assenza di una specifica regola collettiva, sarebbe comunque possibile applicare l’esenzione, andando a cercare nei contratti collettivi nazionali stipulati per i lavoratori subordinati la soglia minima di compenso da riconoscere al collaboratore.  L’ultimo argomento che affronta la circolare attiene all’ambito di applicazione della normativa speciale. La legge stabilisce che le norme della legge 134/2012 relative ai call center (e alla loro delocalizzazione) si applicano solo alle attività in cui operano almeno venti dipendenti. Secondo il ministero, la soglia non va letta in senso letterale, e quindi nelle venti unità vanno conteggiati anche i collaboratori. Inoltre, la circolare precisa che la soglia serve solo a identificare le imprese soggette agli obblighi di informazione previsti in caso di delocalizzazione, mentre non riguarda la possibilità di essere esonerati dalla redazione del progetto; questo esonero, secondo la circolare, vale per tutti i call center, a prescindere dalle dimensioni dell’impresa. Questa interpretazione – al pari delle altre contenute nella circolare – è sicuramente ragionevole, ma non è l’unica consentita da un testo di legge che, come già detto, presenta grandi criticità interpretative. Considerato che la circolare ha carattere vincolante per gli ispettori del lavoro, mentre non vincola in alcun modo il giudice del lavoro, sarà opportuno tenere conto di questa complessità in fase di gestione dei contratti.

 

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