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Se una mamma è costretta a lasciare l’impiego la sconfitta è di tutti

Intervento di Doriana Buonavita

Caro direttore, la storia di Paola, la mamma vigile che ha lasciato il lavoro per prendersi cura dei figli, ci fa capire quanto siamo ancora lontani dal raggiungimento di una reale politica di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Manca una cultura della conciliazione e una cultura della «famiglia». Normalmente la scelta di abbandonare il lavoro perché inconciliabile con la vita familiare ricade sulle donne perché queste guadagnano di meno degli uomini (gender pay gap) e questo è un fenomeno comune in tutta Europa. Mancano politiche reali di sostegno alla famiglia, servizi e strutture pubbliche dove i genitori possano lasciare i propri figli ed andare tranquillamente al lavoro. Non è tollerabile che nel 2017 le donne debbano ancora scegliere se continuare a lavorare o dedicarsi alla famiglia. Purtroppo la mancanza dei servizi di welfare per la famiglia, il problema della scarsità delle strutture pubbliche per l’infanzia, in particolare gli asili nido, soprattutto al Sud, e di quali misure promuovere per favorire una maggiore condivisione della genitorialità tra uomini e donne, relegano la nostra regione agli ultimi posti. Manca un modello lavorativo inclusivo e di genere e pertanto è facile condurre le donne, soprattutto con la nascita del secondo figlio, ad auto espellersi dal mercato del lavoro. I dati parlano chiaro. Secondo il Ministero del Lavoro edelle Politiche sociali, nel 2016 in Campania il numero di dimissioni supera i 2000 lavoratori, in maggioranza donne. Tra l’altro il dato più elevato (il 51%) è concentrato nelle fasce di età tra i 26 e i 35 anni, età in cui normalmente si generano figli. Una sconfitta per tutti noi, parti sociali, istituzioni ed imprese che non abbiamo ancora compreso che per rilanciare e sostenere l’occupazione, in particolare quella femminile, oltre a rafforzare le politiche attive per il lavoro, occorre creare un nuovo equilibrio tra uomini e donne, tra famiglia e lavoro, tra spazio privato e pubblico, mettendo al centro le politiche per la famiglia, incentivare la contrattazione di secondo livello territoriale e aziendale, che può favorire la possibilità di pattuire in azienda forme di accordi sulla conciliazione, percorsi formativi per il rientro dopo un periodo di congedo, sostenere le imprese che investono sulla flessibilità e sulla conciliazione. Noi come Cisl, insieme a Cgil e Uil, ci stiamo adoperando da sempre per favorire le politiche di conciliazione lavoro-famiglia. Vanno in tale direzione i diversi tavoli permanenti di confronto con i Comuni e la Regione per favorire la costituzione di una rete a sostegno delle azioni di contrasto alle discriminazioni nei luoghi di lavoro e di promozione delle Pari Opportunità con la programmazione di iniziative congiunte. Ma evidentemente ancora non basta. Dobbiamo proseguire su questa strada in modo sinergico. Le donne si dimettono per l’assoluta mancanza di politiche di conciliazione e di esigibilità delle stesse laddove ci sono norme attuabili. In estate, ad esempio, è stato firmato un decreto Lavoro-Mef che attua la misura sperimentale prevista dal decreto legislativo 80/2015, riconoscendo sgravi contributivi ai datori di lavoro privati che abbiano previsto, nei contratti collettivi aziendali, istituti di conciliazione tra vita professionale e vita privata dei lavoratori. Sul piatto vengono messi circa 110 milioni di euro per il biennio 2017 e 2018. Le misure ci sono, ma il vero problema è che la genitorialità viene vista come un problema dai datori di lavoroele leggi a favore di questa sono mal tollerate. Occorre fare di più e lavorare tutti insieme perché episodi come quelli di Paola non accadano più. Ma ciò richiede che le politiche di genere debbano essere affrontate ancora con maggiore forza anche dagli attori del territorio che, a vario titolo, possono essere promotori dello sviluppo economico e della cultura del rispetto delle differenzeedella promozione delle pari opportunità per tutti.

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